Lunedì è uscito il nuovo rapporto dell’organismo Onu che si occupa di clima, il Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite (Ipcc). Chi è addetto ai lavori lo sapeva e sapeva che sarebbe stato drammatico, anzi tragico. Ma anche per coloro che si occupano di Ambiente, leggere cosa hanno scritto i principali scienziati climatici della terra è stato a dir poco devastante. Di fatto, la parola chiave è “irreversibile”. Molti dei processi messi in atto sono stati dichiarati tali.

Ripeto, erano cose che si potevano intuire, che sapevamo, lo scioglimento dei ghiacciai come può fermarsi? Ma vederlo nero su bianco è stato comunque impressionante. Il futuro che ci aspetta è un non futuro: fatto di ondate di calore peggiori di quelle viste finora, inondazioni peggiori di quanto visto finora. Il riscaldamento globale non risparmierà nessuno, ma soprattutto non risparmierà il Mediterraneo e cioè noi, visto che è un’area che si riscalda più di altre. Il rapporto Ipcc taglia le gambe alla speranza, che era l’unica cosa che ci aiutava ad andare avanti.

Dopo aver letto il rapporto Ipcc chi ha figli piccoli non sa bene cosa deve fare. La paura, la preoccupazione per la vita che faranno i nostri figli è totale. Il dilemma più grande, rispetto ai più grandi, dagli otto anni in su, è se dire loro ciò che sta accadendo oppure no. È una scelta tremenda, ma ce la dobbiamo porre, anche se la risposta è difficile. Dire loro la verità ora, angosciandoli prematuramente, oppure cercare di nascondere quanto più possibile, col rischio però che a un certo punto capiranno e proveranno una rabbia senza fine per una verità che non gli abbiamo detto? È un compito ingrato.

Per noi genitori la vita col riscaldamento globale, e la minaccia di un peggioramento tragico, è più difficile che per chi è solo. Chi è solo può pianificare cambi di vita, spostamenti, può decidere della sua vita in base anche alle proiezioni future. Noi siamo in genere ancorati alla vita dei bambini, la loro scuola, i nostri lavori che in genere sono doppi. Ma essere radicati, che un giorno era un valore, oggi può essere il massimo dei rischi. Seppure nessuna parte del mondo è sicura, è possibile che nei prossimi anni chi potrà spostarsi sarà più fortunato.

Tornando all’oggi, la pubblicazione urbi et orbi del nuovo rapporto Ipcc sul clima da un lato è una cosa importante, tutti devono sapere, dall’altro è una cosa che ha degli aspetti inquietanti. Perché il problema è che, grazie ai siti online e ai gornali, oggi i report più catastrofici arrivano a tutti, e quindi alle persone che non possono fare nulla, non possono cambiare le cose, se non impegnarsi su differenziata e poco altro che certo non farà la differenza sulle temperature. E allora è normale provare ansia, impotenza, sentirsi soli di fronte a queste notizie apocalittiche – che peraltro i giornali hanno taciuto fino a ieri – e sprofondare nell’inazione e nella disperazione. Oppure, nella rimozione, che a questo punto è l’unico strumento possibile per continuare a sopravvivere decentemente. Queste notizie dovrebbero essere rivolte ai politici, non a noi.

E dunque si dovrebbe provare rabbia per i politici, per tutto quello che non hanno fatto, per decenni buttati senza fare tutto ciò che era fondamentale. Ma, parlo per me, a questo punto siamo persino oltre la rabbia. Che senso avrebbe rimproverare a un Matteo Salvini di non essersi occupato di clima? Riconoscendolo come un interlocutore, che di fatto non è. Che senso ha chiedere a Luigi Di Maio perché non parla di cambiamento climatico tutti giorni, e pure a Nicola Zingaretti? C’è da sperare, certo, che di fronte a questi dati reagiscano e mettano in atto almeno soluzioni di adattamento per evitare sofferenze troppo grandi. Ma è evidente che non potranno cambiare le cose davvero, è troppo tardi. Oggi poi guardiamo all’America e alla Cina, la politica italiana non contava nulla ieri e ancora meno oggi.

Anche le decine e decine di manifestazioni di piazza e proteste cominciano a sembrare inutili di fronte a qualcosa che è davvero troppo grande per tutti e troppo avanzato. Ma soprattutto, anche se volessimo, noi genitori il tempo per andare in piazza, o meglio per fare un’azione civile o politica costante o continua, non ce lo abbiamo, perché dobbiamo prenderci cura tutti i giorni dei nostri figli nei più piccoli dettagli. Vorremmo dedicare la nostra vita alla causa climatica, che forse ci farebbe sentire meno disperati, ma non possiamo. C’è la cena, il, pranzo, il pediatra, lo sport. Di questo siamo costretti a occuparci, mentre le notizie continuano a pioverci in testa sempre più gravi.

La maggior parte di noi sa che non sarà la politica a salvarci. E allora? Le alternative sono pochissime, forse non ci sono per niente. Sicuramente, dal mio punto di vista, cominciare a condividere l’angoscia e la paura in famiglia, ma anche con amici e conoscenti può aiutare. Si può provare secondo me a pianificare l’acquisto, magari collettivo, di case in montagna anche. Chi ha la possibilità può cercare di andare in un altro paese, magari ritenuto comunque meno a rischio. Stare con i nostri figli il più possibile è un’altra cosa importante, tutto il resto conta meno.

Per cercare almeno di vivere anni felici con loro. Curare la salute nostra e la loro per evitare, per quanto possibile, di non ammalarsi – un’altra possibile conseguenza della preoccupazione estrema – e non aggiungere dramma al dramma. E cercare di scacciare quel pensiero che avanza ogni volta che gli scienziati parlano e dicono ciò che sarà, perché purtroppo sono scienziati e non cialtroni: e cioè quasi pentirsi di aver fatto figli, rimpiangere di aver capito la drammaticità della situazione solo dopo averli messi al mondo. Al momento, per noi genitori, forse questa è la sfida più grande.

Il fatto quotidiano 11 agosto 2021

Foto di Lorraine Cormier da Pixabay

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