Le parole per il dopo/15: Comunità

Piccolo vocabolario etico perché tutto tutto ciò che è successo non riaccada

Usare la parola “comunità” non è facile. E’ un termine che porta con sé ricordi di libertà soffocata, di inni patriottici e piacere soffocato. Io stessa vengo da lì, una comunità religiosa che per molti anni mi ha tolto la base che consente alle persone di restare salde nel mondo. 

Eppure, oggi, mi sentirei di usarla come una parole del nostro presente e futuro. Dopo decenni e decenni di individualismo sempre più radicale, di soggettivismo estremo; dopo decenni e decenti di trionfo del privato ovunque, di collasso dello stato e del pubblico, di privatizzazione della vita, della salute, del benessere, di tutto; dopo decenni e decenni in cui la parola centrale era solo “io” e insieme all’io il consumo e insieme a entrambi tutte le patologie che caratterizzano la nostra epoca, come il narcisismo, mi sento di dire finalmente “noi”. 

Essere noi, cioè comunità, è semplice. Basta essere in due. Si può essere comunità se si è famiglia, piccolo gruppo di amici, classe di scuola, compagni di ufficio, qualsiasi cosa. In questa quarantena in cui siamo rimasti isolati abbiamo finalmente capito il senso dell’essere comunità, sia pur connesso digitalmente.  E sono rinate anche forme di comunità “corporee” non solo le famiglie, che sono forse rinate come comunità mentre prima erano solo individui aggregati, ma anche, ad esempi, i condomini. Ci eravamo ridotti a vivere per anni e anni gli uni accanto agli altri nello stesso palazzo senza neanche sapere il nome reciproco, i bisogni, le età, i desideri, niente di niente. Con questa chiusura abbiamo dato un volto a chi abitava con noi, così come abbiamo dato un volto forse ai nostri genitori e parenti, che si sono mancati in maniera lancinante. L’assenza ha prodotto comunità. 

Ma soprattutto, banalmente eppure crucialmente, abbiamo capito che non possiamo salvarci da soli. La pandemia è infezione, e dunque l’autoproduzione forsennata, anche investendo milioni i euro, non basta, senza l’agire comune. L’individualismo, il narcisismo, il soggettivismo son duri a morire ma questa pandemia gli ha assestato una colpo consistente. Soprattutto, ed è la cosa più importante, abbiamo riscoperto il piacere dello stare insieme, della condivisione, del dono. Non parole retoriche, ma realtà. E ci siamo chiesti come mai avevamo questa meraviglia a portata di mano e non l’abbiamo sfruttata, perché avevamo questo enorme bacino di piacere e gioia e l’abbiamo sprecato. Oggi siamo più noi che io, oggi siamo comunità. Non so per quanto. Ma sicuramente più lo siamo più saremo grati alla vita e appagati. 

(26 aprile 2020).