Le parole per il dopo/6: Protezione

Piccolo vocabolario etico perché tutto tutto ciò che è successo non riaccada

Protezione: siamo ossessionati da questa parola. Non pensiamo ad altro, a proteggere noi stessi, a proteggere i nostri figli. Lo facciamo comprando creme solari, mettendo cappelli e sciarpe, portandoli in macchina sotto la scuola. Il virus ha fatto diventare la protezione la parola chiave, la mascherina sul viso è diventata il nostro simbolo universale. 

Eppure, per quanto riguarda la protezione, dobbiamo ancora imparare tutto. La verità è che ci siamo protetti nel modo sbagliato, non per nostra colpa, ma neanche senza alcuna responsabilità. E infatti oggi ci ritroviamo, noi ossessionati dalla protezione, completamente esposti. In pericolo. Sempre più in pericolo. Il virus, la temperatura in aumento, gli ecosistemi distrutti, la deforestazione. Strati di pelle preziosi via via tolti, tanto da lasciarci completamente vulnerabili. 

Dove abbiamo sbagliato? Prendendo la protezione come un atto individuale. Credendo che bastasse spalmare la crema sul nostro corpo per evitare che quel sole bruciasse. Invece no. Il sole ha aumentato il suo calore perché non abbiamo protetto, collettivamente, il mondo che ci è stato donato. Invece di controllare che le foreste non fossero distrutte, abbiamo comprato pacchetti di prevenzione e check up. Invece che proteggere la biodiversità, i mari, gli ecosistemi abbiamo comprato case private più accessoriate, dotate di condizionatori sofisticati, di materiali d’eccellenza. Ma non è così che ci possiamo proteggere. 

Bisogna ricominciare da capo. Capendo che la nostra protezione passa non solo per la cura del nostro corpo ma per il corpo globale nel quale siamo. Che è meglio salvare una pianta che farci l’ennesimo controllo. Se il mare respira, respiriamo anche noi. Se le foreste respirano, respiriamo anche noi. Viceversa, moriamo, e nessuna autoproduzione potrà salvarci. 

Non limitarsi al proprio corpo privato è più faticoso che pensare al collettivo. Perché quest’ultimo ci espone alla diversità dell’altro, al conflitto, alla difficoltà dell’accordo. Ma anche all’impotenza. E alla rabbia, vedendo che chi dovrebbe proteggerci non lo fa. Eppure è un passaggio che dobbiamo fare. Così come dobbiamo chiedere a chi fa le leggi di proteggerci davvero. Perché noi vogliamo vivere. 

#salute

(3 aprile 2020)