Intervista a Eleonora Evi

La legislazione europea a difesa della salute e dell’ambiente? “Può considerarsi per molti versi la migliore al mondo, anche se il principio di precauzione spesso viene calpestato”. Eleonora Evi, 36 anni, europarlamentare del Movimento 5Stelle e membro della Commissione Ambiente, spiega come il Parlamento, la Commissione e il Consiglio europeo hanno affrontato in questi anni la crisi climatica: non sempre senza ambiguità, spesso pressati da lobby e da paesi negazionisti del cambiamento climatico. “L’ambiente e il clima – dice – sono la stella polare da seguire, anche se la partita per tagliare le emissioni europee di almeno il 55% al 2030 è tutta da giocare”. E se il governo Conte sta facendo bene sul clima, “ci vuole più certamente più coraggio su questi temi, anche per uscire dalla crisi di identità del Movimento 5Stelle”.

Lei è arrivata in Europa nel 2014. In che modo si parlava allora di ambiente e clima al Parlamento europeo?

Ricordo il grande fermento in vista della Cop21 (conferenza mondiale sul clima) a Parigi nel 2015. Ma ricordo anche che questo momento era vissuto con apprensione e aspettativa dai soli membri della commissione Ambiente (Envi). Ci sono voluti anni di denunce del mondo scientifico e le proteste e gli scioperi dei giovani nelle piazze per scuotere il Parlamento che, solo a fine della scorsa legislatura, ha mostrato un po’ di coraggio invitando Greta Thunberg in audizione per discutere di politica climatica europea. Per non parlare delle posizioni della Commissione europea guidata da Juncker e quelle del Consiglio Ue. Trovare l’accordo con loro ad ogni regolamento o direttiva è stato un lavoro difficile.

Oggi c’è maggiore consapevolezza che siamo veramente di fronte ad un’emergenza climatica?

Assolutamente sì. Ma bisogna passare rapidamente all’azione. Eppure c’è sempre chi frena, sottovaluta, sminuisce e ridicolizza chiamando gretini chi si batte contro la crisi climatica. Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia strizzano l’occhio ai negazionisti climatici, che si, ahimè, esistono ancora oggi, anche al Parlamento europeo.

In questi anni, sul fronte ambiente (acqua, animali, foreste, rifiuti), quali traguardi ha raggiunto l’Europa?

Nonostante il quadro appena dipinto bisogna ammettere che la legislazione europea a difesa dell’ambiente e della salute può considerarsi per molti versi la migliore al mondo. Grazie alle regole europee anche in Italia sono stati introdotti limiti stringenti per sostanze pericolose e inquinanti nell’acqua e nell’aria, ci sono obblighi di depurazione delle acque e obiettivi di riuso e riciclo dei rifiuti. Oltre a garantire la sicurezza della filiera alimentare. Sa che negli Stati Uniti muoiono ogni anno per intossicazione alimentare 3000 persone contro le 100 in Europa? Voglio citare anche la commissione di Inchiesta sul trasporto di animali vivi che si è appena insediata e la recente risoluzione votata che chiede di mettere un freno alla forestazione sia in Europa che nei paesi terzi.

Immagino però che molto resti da fare.

Il tanto decantato “principio di precauzione” troppo spesso viene calpestato. Penso ad esempio alle sostanze chimiche pericolose che andrebbero bandite (come i Pfas o la formaldeide) o massicciamente ridotte come l’uso di pesticidi chimici, all’abbandono di pratiche antieconomiche e inquinanti come l’incenerimento dei rifiuti o il perdurante sostegno alle fonti fossili, gas in particolare, a cui ora si aggiunge l’idrogeno, che, se di derivazione fossile, potrebbe rivelarsi l’ennesima scappatoia per mantenere in vita un sistema energetico vecchio e dannoso. Per non parlare del modello intensivo di agricoltura e allevamento, largamente sussidiati tramite la Pac, la politica agricola comune, e quindi dalle tasche dei cittadini europei.

Sul fronte specificamente climatico, cosa pensa del nuovo obiettivo annunciato da Ursula Von der Leyen (taglio del 55% delle emissioni europee entro il 2030)?

Ad oggi l’Ue ha già ridotto del 23% le sue emissioni rispetto al 1990, questo va riconosciuto. Ma la temperatura del pianeta continua a salire e dunque la traiettoria di riduzione deve essere rivista. Ecco perché Von der Leyen si è impegnata a modificare questo obiettivo al rialzo. Sulla scia di ciò che dicono gli scienziati, tuttavia, in Commissione Ambiente si è deciso, per un pugno di voti, per un 60% che dovrà essere confermato ad ottobre con il voto della Plenaria. Ora la partita è aperta, ma non è per nulla facile.

Ci spiega quali sono i fronti opposti sul clima in Europa e come agiscono le lobby?

All’interno dell’arco parlamentare si ripropone spesso lo schema Progressisti e Verdi vs Conservatori e Sovranisti. Quanto alle lobby, che hanno un peso rilevante specie rispetto a settori come la chimica, automotive, energia e industria e allevamento industriale, manca ancora un registro per la trasparenza dell’attività di lobby che sia giuridicamente vincolante per tutti i soggetti. Eppure, a mio parere, il luogo dove l’Europa dà il peggio di sé non è il Parlamento europeo, dove gran parte dei lavori sono pubblici, né la Commissione europea, nonostante i continui casi di porte girevoli (vedi l’ex Presidente a Barroso in Goldman Sachs).

Quale allora?

Il vero “buco nero” nel processo decisionale europeo è in Consiglio Ue, che lavorano in riunioni a porte chiuse e senza verbali, un modo di lavorare che è stato condannato anche dalla Corte di Giustizia europea, dal Mediatore europeo e dallo stesso Parlamento europeo.

Che ruolo ha la Commissione Ambiente?

Si occupa di intervenire sulle proposte legislative della Commissione europea nella cosiddetta procedura legislativa ordinaria oppure, per mezzo di atti di indirizzo, suggerire la strada da intraprendere. Oggi il Green Deal europeo vede un ruolo sicuramente centrale di questa commissione parlamentare. Nella scorsa legislatura, pur facendo parte di un gruppo politico che notoriamente aveva posizioni per nulla ambiziose in materia di clima e ambiente (Efdd), la presenza in Commissione ambiente del M5S ha consentito di cambiarne il segno.

Perché è contraria all’inserimento del gas nel Just Transition Fund?

Perché il gas è un combustibile fossile, inquina ed emette gas serra e non può avere un posto in un’Europa che va verso la neutralità climatica. Le parole d’ordine sono Efficienza Energetica, per ridurre drasticamente il nostro fabbisogno di energia (e qui l’Italia si distingue in Europa per aver varato il SuperBonus 110%) e Rinnovabili Distribuite, per autoprodurre l’energia di cui abbiamo bisogno. Ci tengo a ricordare che grazie anche al lavoro del M5S nella scorsa legislatura l’Europa ha sancito un nuovo diritto per tutti i cittadini europei, ovvero quello di produrre, consumare, stoccare, vendere l’energia autoprodotta e di condividere l’energia prodotta da impianti comuni. Sono necessarie dunque politiche ambiziose di efficienza energetica ed elettrificazione rinnovabile nel sistema energetico, nell’edilizia, nei trasporti, nell’industria, oggi tecnologicamente fattibili ed efficienti dal punto di vista dei costi. E le risorse del Recovery Fund devono essere investite in questa direzione.

Come giudica il dibattito su crescita/decrescita rispetto alla transizione climatica?

Parlare oggi di crescita è antistorico in un pianeta con risorse limitate e una catastrofe climatica e di biodiversità in corso. Bisogna tuttavia riconoscere che un certo livello di disaccoppiamento tra crescita economica e prosciugamento delle risorse si è raggiunto, ma non basta, è necessario fare molto di più e cambiare il modo stesso con cui concepiamo il benessere della società. Ci saranno certamente grandi cambiamenti, soprattutto in termini occupazionali e soprattutto per certi settori. Ma le proiezioni, penso ad esempio al settore automotive o dell’energia, mostrano un bilancio netto positivo in termini di posti di lavoro. Accompagnare la transizione in modo che sia giusta e non lasci nessuno indietro è una sfida che dobbiamo vincere. Un esempio: L’Epa (Agenzia Ambientale USA) ha calcolato che per circa 10.000 tonnellate di rifiuti si crea 1 posto di lavoro nell’incenerimento, 6 posti di lavoro nelle discariche, 36 posti di lavoro in impianto di riciclo e ben 296 posti di lavoro nella filiera del recupero, riuso, riparazione.

Come giudica i nostri media rispetto al racconto della crisi climatica?

La stampa italiana è una continua delusione, soprattutto sui temi legati al clima, mancano informazioni, approfondimenti, consigli ai cittadini su come cambiare il loro stile di vita. La crisi climatica, con alcune eccezioni, tra cui Il Fatto Quotidiano, è affrontata in piccoli trafiletti a fondo pagina solo dopo un’abbondante lista di fatti di cronaca nera impacchettati in storie da soap opera. A livello europeo se ne parla di più e in maniera più analitica, penso al The Guardian.

Venendo all’Italia e al governo italiano. Nonostante agisca bene sull’ambiente, il clima non arriva nelle dichiarazioni del premier.

A malincuore, credo sia vero. Ed è motivo di grande frustrazione per me. Eppure non dimentichiamo che con i governi Conte I e II il M5S è stato fondamentale per imprimere, soprattutto a livello europeo e globale, un cambio di passo. Ho visto coi miei occhi cambiare radicalmente la posizione dell’Italia su alcuni dossier importanti (Regolamento Emissioni CO2 Auto e Furgoni, ad esempio) e schierarsi con i paesi più progressisti, dal lato giusto della storia. Ma ci vuole una linea più coraggiosa.

Non crede che 5 Stelle, che vivono una crisi identitaria dovrebbero riscoprire la loro (perduta?) la anima ecologista originaria, anche per vincere?

Il M5S oggi vive una grande crisi identitaria. Abbiamo abdicato a molte, forse troppe battaglie. Oggi è tempo di riflettere, tutti insieme, in un momento di grande e profondo confronto per rimettere ordine e chiarezza sulle nostre priorità. L’ambiente e il clima, per me, sono la stella polare da seguire. Però mi faccia dire una cosa, in conclusione, su Virginia Raggi.

Prego.

Il coraggio e la determinazione dimostrata da Virginia Raggi non hanno eguali nel cercare di rimettere in piedi una città spolpata e dissanguata da decenni di scorribande e illegalità. Penso abbia avuto troppo spesso le mani legate per affrontare con misure radicali i problemi atavici di Roma, uno su tutti la gestione dei rifiuti, perennemente schiacciata tra le competenze (e palesi e aperte ostilità) della Regione Lazio e atti intimidatori come i continui incendi dolosi agli impianti di trattamento di rifiuti ad opera della criminalità organizzata.

Pubblicata sul Fatto Quotidiano il 29 settembre 2020

Foto di MichaelGaida da Pixabay

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