Faccio la giornalista dal lontano 2002.
In questi anni ho scritto sui temi più diversi, con i registri più diversi.
Ho osservato il mondo dell’informazione da vicino, ho riflettuto sugli errori e sui punti di forza del giornalismo. Ma dopo tanti anni, sono arrivata a una considerazione non ottimista:l’informazione di oggi non ci sta rendendo migliori. Il che significa che non ci informa bene, anzi.
È un’informazione violenta nei modi di raccontare ciò che accade. È un’informazione spesso sciatta, indifferente alle reazioni che provoca nel lettore.
È un’informazione che non si prende cura di chi legge e di chi ascolta, non lo aiuta né a essere più informato né lo spinge ad agire meglio, abbandonandolo in uno stato di impotenza e frustrazione.
Non è un caso che la gente si rivolga sempre più all’intrattenimento, che i dati dei tg scendano e con essi anche quelli dei siti di informazione.
Le persone non vogliono più sentirsi angosciate o disperate e, quindi, preferiscono social, oppure podcast, oppure, appunto, semplice intrattenimento.
Per questo, per questo 2024, mi piacerebbe che il mondo dell’informazione cambiasse.
Ecco un piccolo decalogo di riforme, secondo me
1 – Rispettare la gerarchia e la qualità delle notizie
Scegliamo i temi da raccontare e le notizie da dare con cura. Le notizie non hanno mai lo stesso peso, non sono mai uguali. Ci sono notizie pesanti e notizie che nulla servono o nulla contano.
Diamo una gerarchia alle notizie e mettiamo in cima, anzi in pagina, quelle davvero più importanti.
Non farlo significa non rispettare la realtà e il fatto che moralmente non tutte le cose hanno lo stesso peso
2 – Lasciare fuori l’inutile
Raccontare che in un lontano Paese del mondo un bambino è morto in modo assurdo e raccapricciante non serve a nulla.
L’unico effetto è quello di orrore e di paura che genera in un lettore. Non serve a cambiarlo, né a migliorarlo, quel lettore.
Il web purtroppo produce questo effetto, che qualsiasi notizia in qualsiasi parte del mondo può essere rilanciata. È sbagliato e non andrebbe fatto. Di nuovo, bisogna selezionare le notizie, darne poche, darle bene
3 – Basta con la cronaca nera
Fermiamoci con la cronaca nera, soprattutto se usata essa stessa come un’arma.
La cronaca nera è una parte importante dei giornali e dei tg lo è sempre stata, ma oggi il suo dilagare ha un che di sconvolgente e insensato. Il racconto dei dettagli macabri, i particolari, l’insistere sulla violenza accaduta che viene moltiplicata produce un effetto di annichilimento e stordimento sulla gente. È come se avessi perso la capacità di immaginare, di capire, da noi stessi, cosa significa che una certa persona ha ucciso un’altra, magari donna, magari con figli o incinta. Non servono dettagli, la notizia in sé basterebbe. Invece veniamo storditi con particolari che aumentano malessere e disperazione
4 – I titoli riflettano il contenuto
Un grande passo avanti nel giornalismo sarebbe abolire i titoli sciatti, sbagliati o che portano fuori strada. L’assurda pratica del mondo dei giornali per cui il titolo non viene fatto da scrive l’articolo andrebbe archiviata.
Solo chi ha scritto l’articolo ne conosce, per così, dire l’anima, il senso profondo. E a volte si ritrova anche lui a leggere, o persino essere querelato, per titoli che lui non ha messo e di cui quasi mai è a conoscenza. Le persone che leggono spesso si basano solo sui titoli, l’opinione pubblica anche e questo genera una serie infinita di polemiche, ma soprattutto di confusione e di malintesi. Con risultati letteralmente drammatici.
5 – Basta con l’informazione sciatta, serve cura
La nostra informazione è brutta. È brutta graficamente, è brutta nei contenuti, è sciatta, piena di errori. Questo purtroppo è dovuto alla mancanza di tempo, certo, ma non solo, anzi solo per una piccola parte.
La velocità dell’informazione peggiora la qualità, ma come Italo Calvino ci ha insegnato si può essere rapidi e precisi. E poi bisogna curare le immagini, che sono una parte importantissima dell’informazione. Le immagini devono essere coerenti, devono essere belle, devono esprimere la stessa emozione che il pezzo esprime. A volte invece un articolo porta con sé sentimenti e idee e suggestioni che la foto nega. O stravolge. E viceversa.
6 – Fermiamo gli stereotipi
Ancora oggi, nel 2023, la nostra informazione è piena di stereotipi.
Luoghi comuni, cliché assurdi e sbagliati che ancora campeggiano in titoli e sottotitoli. Così ancora si parla di “raptus” per gli autori di femminicidio, o si scrive “l’ha uccisa perché le voleva separarsi”. Ancora si legge del “clima impazzito”, oppure, magari in un articolo di cronaca, la nazionalità dell’omicida o di chi ha commesso un reato diventa un sostantivo, quando non scriveremmo mai “un italiano ha fatto questo o quello”.
I pezzi di cronaca, ancor più quelli di costume, ma anche le interviste (le domande alle attrici sono imbarazzanti, dal “come affronta il tempo che passa” al “vuole fare figli e quando”) ne sono infarciti. In questo modo, invece di rendere i lettori migliori, li si rende partecipi del gigantesco conformismo che ci affligge. E questo porta solo del male.
7 – Puntare sull’approfondimento
Nell’era del web istantaneo, dei social media e della velocità assoluta, il giornalismo dovrebbe radicalmente cambiare.
Basta con l’ultimo minuto, con la notizia data immediatamente e subito allo stesso modo da cento siti web italiani. A che serve? La nostra mente, peraltro, non può contenere più di tante informazioni, il cervello esplode, le emozioni negative anche.
Restare in una perenne superficie fatta di fatti dati troppo velocemente (oltre che spesso inutilmente) crea ansia e ci lascia senza strumenti. Occorre passare, e rapidamente, a un giornalismo slow, che già qualcuno sta cominciando a mettere in pratica. L’approfondimento è la salvezza del giornalismo e la salvezza delle nostre menti. Ovviamente variando il più possibile le firme, cercando di coinvolgere esperti, anche nuovi, uscendo fuori dal solito circolo, spesso di maschi, bianchi, wasp.
8 – Più critica, più ironia
L’altra salvezza del giornalismo italiano, oltre all’approfondimento, sta nell’aumento del lato critico di giornali e media. Di cronaca ne abbiamo fino alla nausea, manca invece la critica. Però attenzione, che non siano solo opinionisti e opinioni, specie almeno sempre i soliti, appunto bianchi, maschi, wasp.
Un giornale che vale la pena comprare dovrebbe essere pieno di corsivi, anche ironici, e che restituiscano il piacere di leggere menti, maschili e femminili, profonde, argute, sorprendenti. E che ci sia anche tanta satira, sia vignette sia articoli, perché la satira nessuna intelligenza artificiale potrà sostituirla. La critica vera, la satira sono davvero l’anima del giornalismo. Negli anni Settanta erano tutto, oggi quasi niente. È tempo davvero di tornare indietro, oppure avanti. Via da un oggi fatto di schiacciamento sui fatti, al massimo contornata della rubrica dei soliti noti, che scrivono da anni le stesse cose senza alcuna lungimiranza, brillantezza, vivacità.
9 – L’informazione è informazione, la pubblicità pubblicità
È sempre più urgente, anzi urgentissimo, fermare la deriva ormai presente ovunque, anche nei grandi giornali, che porta volutamente a confondere informazione e pubblicità. Eppure sarebbe un punto fondamentale del codice deontologico dei giornalisti.
I contenuti sponsorizzati andrebbero evidenziati con chiarezza, perché il lettore possa sapere che si tratta di una promozione. Invece prevalgono forme ambigue, ibride, talvolta veri e propri articoli su argomenti e aziende che in realtà sono fatti a tavolino e probabilmente pagati da queste ultime. È una pratica veramente inquietante, che sui social è ormai dilagante, ma che non ci si aspetterebbe da quotidiani un tempo ritenuti illustri. Ma è una di quelle cose fondamentali per un giornalista, come non dare notizie false. Come è possibile che nessuno se ne accorga più, nessuno sanzioni? Manca, davvero, il rispetto per chi legge.
10 – Se la precarietà uccide i media
Il mondo dei giornalisti soffre di una precarietà tra le più alte nel mondo del lavoro. I giornalisti con un contratto da dipendenti sono una esigua minoranza, il resto è precarietà assoluta.
Tanto scandalo sui media ha suscitato la vicenda dei rider che consegnano sotto il solo e sotto la pioggia. Ma l’amara verità è che molti giornalisti guadagnano meno dei rider, vivendo in povertà.
Nessuno lo sa perché i giornali e media non parlano di se stessi, ma forse questo è il problema più grande da affrontare se si vuole un’informazione migliore. Perché un giornalista precario non potrà mai fare grandi inchieste, perché non può rischiare querele. Né può lavorare bene, se non riesce a sopravvivere.
Forse questo è il punto da cui ricominciare. Non basta, c’è tutto il resto, ma potrebbe essere un buon inizio per questo 2024 dell’informazione.
Pubblicato su Lavolta.it, 1 gennaio 2024
Foto di Luisella Planeta LOVE PEACE 💛💙 da Pixabay