La débacle la vedo ogni giorno nel mio secchio diraccolta differenziata della plastica.

Si riempie con velocità inimmaginabile, bastano pochi pasti e già è stracolmo.

D’altronde, se per caso quei giorni non sono riuscita ad andare a fare la spesa mercato e ho preso, nell’urgenza, una spesa on line, la frutta e verdura mi sarà recapitata dentro vaschette di polistirolo giganti, le stesse che si usano anche per la carne.

Se avrò preso qualche affettato, per chi a casa ne mangia, avrò una doppia carta di imballaggio più la plastica interna. Ma la plastica cresce anche per gli yogurt, per le confezioni di latte quando magari quelle in cartone sono finite, per i formaggi di ogni tipo, infine per tutto l’immenso settore di plastica dura rappresentato dai detersivi e dai prodotti da bagno, dagli shampoo agli assorbenti. E molto altro ancora.

Plastica, quegli obiettivi ridicoli

La plastica cresce e la sensazione è quella di esserne letteralmente travolti, soffocati. Eppure è difficile fare diversamente, se si acquista alla grande distribuzione, se si ha poco tempo e in famiglia si è tanti.

Preparare bustoni di plastica da riciclare non è consolante: perché quello che sconcerta di più noi tutti è che la plastica non si sta riducendo come dovrebbe. Al contrario, aumenta.

D’altronde, la settimana scorsa, con un incredibile sforzo congiunto, parlamentari e lobby del settore sono riusciti a stroncare il regolamento proposto dalla Commissione europea che puntava a ridurre proprio i rifiuti da packaging, puntando sul riutilizzo e un riciclo più responsabile. E invece la lista degli imballaggi monouso eliminati è minuscola – cellofan sulle valigie in aeroporto, doppi imballaggi come quelli per il dentifricio e confezioni monouso di sapone – mentre gli obiettivi di riduzione dei rifiuti da imballaggi restano veramente ridicoli: 5% entro il 2030, 10% entro il 2035, 15% entro il 2040. Come, pure, quelli per la riduzione della plastica: 10% entro il 2030, 15% entro il 2035, 20% entro il 2040.

La lista dei prodotti salvati è immensa e riguarda soprattutto il settore del cibo, tra cui piatti e tazze usa e getta dei ristoranti. Non solo: nel regolamento sono previste deroghe per quei Paesi che raggiungano l’85% di riciclo degli imballaggi.

In quel caso, si è esenti dall’obbligo del riuso. In pratica, un regolamento quasi nullo.

No, la carta non è la soluzione

Ma il problema non è solo la plastica. E anche questo lo possiamo vedere con facilità nelle nostre case. Ho dovuto cambiare negli anni le dimensioni del secchio per la carta perché la carta da gettare è sempre più ingente.

Ci sono tutti gli imballaggi degli alimenti, pasta, biscotti, uova, carta igienica e carta da casa. Ci sono poi tutti gli imballaggi dei prodotti acquistati on line. Le medicine e le loro confezioni. Gli imballaggi per oggetti di ogni tipo, dall’asciugacapelli ai giocattoli.

E tutto ciò escludendo eventuale cibo da asporto, che io non compro, ma che va a creare una massa ancora più ingente di carta (e plastica) da buttare.

Certe volte si ha l’impressione di avere un vero e proprio patrimonio in casa che ci costringono a gettare.

Conosco qualcuno che comincia a rivendere gli imballaggi sul web, e fa bene, perché in effetti rappresentano un prodotto e sempre anche più prezioso.

La carta, che ormai usano anche i fast food, che sono quelli che più gioveranno del nuovo (non) regolamento, non è più un imballaggio ecologico.

Non lo è perché ormai la quantità è immensa, si usa per qualsiasi cosa e questo significa, oltre a impianti di riciclaggio che ovviamente hanno bisogno di energia e producono emissioni, che comunque, per quanto si ricicli, sempre più alberi vengono abbattuti.

Se l’imballaggio è un altro prodotto che ci vendono

Quello che questo sistema produttivo non capisce e non può capire è che non andremo da nessuna parte sostituendo un imballaggio meno ecologico con uno più ecologico. Il problema non è plastica, la bioplastica o la carta ma la quantità abnorme di imballaggi che cresce invece di diminuire.

Il settore è veramente un esempio lampante di come la transizione ecologica non significhi rimpiazzare un prodotto meno green con uno green, ma ridurre i prodotti. Ma questo sistema non concepisce la riduzione dei prodotti: e l’imballaggio, in fondo, è semplicemente un altro prodotto che ci viene venduto.

Il monouso è poi l’espressione più chiara del nostro mercato: favorisce l’aumento complessivo di cose da vendere, favorisce anche tutta una serie di consumi, come il mangiare fuori casa, che viceversa probabilmente si ridurrebbero.

Nel settore alimentare viene difeso con la scusa della sicurezza e dell’igiene, ma sappiamo benissimo che non è così. Certamente non è igienico un mondo inquinato, malato di emissioni, riscaldato e portatore di parassiti e virus causati anche da deforestazione e aumento delle temperature. Altro che riuso.

Il peso psicologico dei rifiuti

Ma esiste anche un problema etico e psicologico.

In mezzo a tutti questi imballaggi, siamo sempre più a disagio.

I nostri secchi strabordano e noi lo vediamo con preoccupazione. Riceviamo cose che, una volta aperte, producono una quantità immensa di rifiuti che ci fa male gettare.

Il gesto dell’aprire e immediatamente buttare l’imballaggio nel secchio ormai è costante, quotidiano. Ma è diventato claustrofobico. Insostenibile, anche emotivamente.

A me viene la nausea. E i bambini assistono a tutto questo immenso spreco, a montagne di rifiuti da imballaggio che viaggiano per le nostre case. Non ha senso e lo sappiamo. Non ha senso ma non riusciamo a uscirne.

Perché di nuovo qui si vede come la transizione ecologica non la possono fare solo i singoli. Ma se l’istituzione che più dovrebbe rappresentare e soprattutto aiutare, cioè il Parlamento europeo, si fa travolgere dalle lobby e praticamente dà il via libera a che si continui nello stesso identico modo, onestamente, cosa possiamo fare?

Chiudo con un esempio, anche se non si tratta proprio di un imballaggio.

Qui in famiglia abbiamo avuto i pidocchi per molti mesi. Abbiamo acquistato una marea di prodotti e lozioni in plastica, che arrivavano con la loro scatola di carta. Plastica, carta.

Ma la cosa più assurda è che ogni scatola conteneva un pesante pettine di metallo antipidocchi. Ogni shampoo o lozione ne aveva uno. Ma avendo comprato noi moltissime lozioni, abbiamo finito per avere decine di pettini di metallo.

Non era possibile comprare il prodotto senza.Ecco un esempio di devastante monouso.

Che, tra l’altro, fa ovviamente aumentare il costo del prodotto. Ma, di nuovo, come difendersi di fronte a tutto questo?

Foto di Tomáš Sova da Pixabay

Pubblicato su La Svolta 29 novembre 2023

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