Sconvolgente. Quello che è accaduto a Milano giovedì scorso non può che definirsi diversamente. Perché si tratta di un incidente fotocopia, avvenuto cioè nello stesso identico modo di altri 5 incidenti da novembre a oggi.Nel centro di Milano, in bicicletta, a causa dimezzi pesanti, come betoniere, privi del sensore che impedisce il cosiddetto angolo cieco, quello per cui il pezzo pesante non è in grado di vedere il ciclista.

Colpisce anche il fatto che in 4 casi su 5 da novembre, si tratti di donne, quasi tutte con figli ancora piccoli. È un dettaglio che rende tutto ancora più inquietante.

Soluzioni auto-evidenti. Eppure non messe in campo

Dopo ogni omicidio, le associazioni di ciclistihanno manifestato per chiedere di fermare la strage. Ma a nulla è servito, perché gli incidenti si sono susseguiti.

Domani potrebbe essercene un altro, e così dopodomani. In questo caso, infatti, e a differenza di altri tipi di incidenti, la dinamica è la stessa e la causa pure. Il che significa che anche il modo per impedire la sofferenza infinita di famiglie e di figli orfani sarebbe uno e chiaro: vietare i mezzi pesanti nel centro di Milano durante il giorno. Evitare che betoniere o grandi mezzi senza sensori e ciclisti si possano incrociare.

Dovrebbe essere semplice, automatico. La domanda sorge allora spontanea: perché non si è varato subito il provvedimento che frenava l’ingresso di questi mezzi? Sembra che la giunta Sala lo varerà a luglio, ma che potrebbe essere impugnato. Potrebbe, forse, ma intanto? Perché non lo si è fatto, il giorno dopo il primo incidente?

Perché Sala dice che bisogna “ragionare, anche in base all’economia”, perché apre alla possibilità di far entrare quei camion che abbiano dimostrato di aver ordinato il sensore ma non lo abbiano montato? Che senso ha?

L’impressione è che le amministrazioni non restino particolarmente segnate da lutti e tragedie. Non è facile retorica, ovviamente sono colpiti, ovviamente vorrebbero che non accadesse. Tuttavia, non mettono mai nelle loro azioni quell’urgenza che la salvaguardia delle vite umane richiederebbe. Rendere una città sicura può essere un lavoro che richiede anni, certo. Ma ci sono misure immediate, accanto a quelle a medio e lungo termine, che si possono prendere.

Se manca la consapevolezza del dramma

Per fare questo, però, occorre considerare la perdita di vite umane sulle strade come un’emergenza totale, assoluta. Ma purtroppo non è così. Perché se la si considerasse in questo modo, esattamente come, per dire, un’invasione di animali selvatici in città, una alluvione che dura giorni e giorni, una pandemia, se la si considerasse così, i nostri sindaci sarebbero in prima linea nel varare provvedimenti speciali, nel chiedere con forza sostegno e aiuto da parte dello Stato, nel mandare ogni giorno comunicati per ogni vita persa. E non solo in casi “speciali”. Cercherebbero di rendere urgente, visibile e fondamentale un tema come la sicurezza.

Qui quello che manca è il sentimento dello sgomento.

Ciò che fa più rabbia, poi, è che a essere colpiti sono soprattutto quei cittadini che si muovono in maniera sostenibile. Come con le bici, appunto, oppure a piedi. Andrebbero protetti perché più fragili e perché rendono (anche) le nostre città migliori, se è vero che le nostre aree urbane devono diventare più sostenibili dal punto di vista dei trasporti.

Sembra invece che questa sostenibilità stia più nei comunicati e nei propositi dei sindaci che nella realtà. Perché siamo sempre lì: se questa sostenibilità la vogliamo, bisognerebbe varare misure che disturbino, come vietare la circolazione dei bus turistici in centro oppure, anche, decidere che all’interno della città si può andare solo esclusivamente a 30 chilometri all’ora. Una misura che le associazioni che si occupano di sicurezza stradale auspicano come intervento immediato per ridurre le morti su strada. E che invece i sindaci non prendono ancora. Per esempio, a Roma.

YouTuber: purtroppo non è un incidente “speciale”

E restando a Roma: anche qui i ciclisti muoiono, ma ancor di più i motociclisti, seguiti dai pedoni. Nella Capitale l’emergenza è ancora più vera, visto che sono 75 i morti da inizio anno. L’ultima, una nonna che accompagnava un nipote.

La giunta Gualtieri sta lavorando per rendere sicuri alcuni incroci pericolosi, ha installato numerosi autovelox su strade a scorrimento veloce e gallerie dove le macchine sfrecciavano in maniera assurda. Sta rifacendo numerose strade. Tuttavia manca il senso dell’urgenza. Manca la consapevolezza della tragicità di ciò che accade ogni giorno. Manca il coraggio di misure d’emergenza.

Roma come Milano appaiono simili. Molti proclami, alcuni fatti, ma non quell’agire spinto dall’impellenza che la consapevolezza di cosa può vivere una famiglia dove muore una madre, una nonna o un padre dovrebbe portare. Si è parlato per settimane dell’incidente di Roma causato dagli YouTuber. Ma se togliamo i futili motivi, che certo hanno reso il caso scioccante, troviamo una dinamica simile in altre 1.000 casi: persone distratte al volante dal cellulare, velocità troppo elevata, nessuna pattuglia per strada.

Il ministro Salvini ha inserito misure severe nel nuovo Codice della strada, tra cui anche alcune tutele per i ciclisti e chi guida monopattini. Si tratta di misure giuste. Ma ci vorrebbe maggior coordinamento tra Governo e amministrazioni comunali. E ci vorrebbe che quest’ultime, che hanno maggior controllo del territorio, agiscano, ripeto, avendo mente che l’unica soglia accettabile di morti su strada è zero. Specie quando le cause sono note. Specie quando donne e uomini muoiono a causa della stessa identica, e prevedibile, dinamica.

La Svolta.it, 26 giugno 2023

Foto di Huỳnh Mai Nguyễn da Pixabay

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