Per chi si occupa di riscaldamento globale, ma anche per chi conosce bene il tema, con i suoi dati e le sue conseguenze, l’ansia climatica è sempre in agguato. Purtroppo, tutto ciò che ha a che fare con l’emergenza climatica è fortemente angosciante, visto che le cattive notizie superano di gran lunga quelle buone. Il continuo utilizzo di proiezioni climatiche, che ci raccontano come sarà il nostro paese o il nostro pianeta nel 2030, nel 2050, nel 2100 aumenta l’ansia a livelli esponenziali, perché la mente corre continuamente avanti e si colloca già nelle situazioni drammatiche che vengono annunciate, senza possibilità di adattarvisi gradualmente.

Esistono tuttavia alcune strategie che aiutano ad abbassare l’ansia rispetto al futuro che ci aspetta. Personalmente, come giornalista e come persona umana, sono continuamente in cerca di pratiche che possano aiutarmi a gestire i sentimenti di paura che alcune letture suscitano. Può sembrare strano ma uno degli “escamotage”, per così dire, che ho trovato è la lettura di romanzi sulla malattia. Libri scritti da malati molto gravi che raccontano come abbiano affrontato la prova più difficile della vita e come riescano, nonostante tutto, a vivere pienamente. Li trovo così importanti, interessanti e fondamentali che li leggo con estrema passione e rapidità.

L’ultimo, uno dei più belli forse, si chiama L’indicibile, ed è stato scritto da Gabriella De Fina per Bompiani. L’autrice nel libro condensa una settimana di vita insieme di due donne malate di tumore e con ormai poco tempo davanti a sé, Bianca e Micaela, all’interno di una villa di famiglia di una delle due. E racconta le loro diverse modalità di rapportarsi all’idea di dover morire, intervenendo ogni tanto, coma una sorta di spettatrice fuori campo che le osserva entrare con amore e compassione.

Ma cosa c’entra questo tema con il cambiamento climatico? C’entra, anche se in maniera indiretta. Rispetto all’ansia climatica, la lettura di storie di chi non ha davanti a sé un futuro produce un effetto paradossale di calma. L’ansia viene relativizzata, perché ci si rende conto improvvisamente di quanto siamo esseri finiti, di quanto i nostri margini di azione siano limitati e di come proiettare la mente sempre avanti – come purtroppo si tende a fare con articoli, rapporti e proiezioni – sia nefasto perché ci fa uscire dal presente, dal qui e ora, dunque dal corpo. E ci fa dimenticare anche che, appunto, il corpo si può ammalare.

Questo non vuol dire ovviamente che questi libri ci distolgano dal tema clima, ma ricordandoci la nostra finitezza ci obbligano ad accettare che non possiamo avere controllo. Così siamo costretti a riportare il tema della crisi climatica all’interno del nostro raggio di azione, più piccolo, più limitato. Non possiamo salvare il mondo né portarlo sulle nostre spalle, noi con un corpo fragile e un tempo finito. Sembra paradossale che un’angoscia scacci un’altra, ma in un certo senso è così, anche perché libri come questi ci ricordano che se anche il cambiamento climatico scomparisse noi siamo comunque destinati a finire. E questo, incredibilmente, relativizza la potenza devastante del primo tema.

Ma c’è un secondo motivo per cui libri come L’indicibile aiutino (vorrei chiarire che non si tratta di usarli in modo strumentale, ma per guarire da ansie diverse: penso che la letteratura autorizzi a questo utilizzo “spurio”). In questi anni di studio del tema climatico, mi chiedo – non sono la sola ma ci sono tanti che si occupano del tema – come mai l’umanità accetti quasi in maniera indolente e passiva di andare incontro a un futuro drammatico. Come mai, insomma, la gente non reagisca abbastanza, non protesti abbastanza, quando si parla delle conseguenze del riscaldamento globale.

La parola chiave qui è senz’altro rimozione. Non riusciamo a reagire in maniera efficace non solo perché ci sentiamo parecchio impotenti, ma ancora di più perché la nostra cultura ha del tutto espunto il tema della fine. L’Occidente opulento che produce la maggioranza della CO2 non riesce a cambiare paradigma, perché cambiarlo significherebbe accettare che siamo finiti e questo il nostro sistema di valore non lo contempla proprio. La crisi climatica ci mette di fronte a questa evidenza che abbiamo cancellato. E allora non sappiamo come fare. Andiamo nel panico. Rimuoviamo. Non vogliamo sapere.

E allora ecco perché romanzi come quello di Gabriella De Fina aiutano. Ci ricordano in maniera potente come la vita si concluda. Nel libro, le due donne rappresentano diversi modi di affrontare questo tema, che sono poi due modi che probabilmente l’autrice sentiva dentro di sé come entrambi veri. Da un lato Bianca cerca di reagire prendendosi cura della cose, cucinando cibi buoni, provando a dare bellezza e senso a ciò che ha intorno a sé, pur nella consapevolezza del tempo finito. Micaela invece rappresenta la voce della rabbia, il grido contro la fine, la legittima e comprensibile volontà di non accettare. Ma è una volontà che comunque non passa dalla negazione, perché Micaela non nega niente, è consapevole di ciò che sta accadendo, ma non lo può accettare.

Il cambiamento climatico è come una malattia cronica gravissima e noi tutti siamo in questo senso malati cronici gravi. Se vogliamo dunque affrontare il tema della crisi climatica, e magari curarlo per quanto possibile, credo sia necessario esplicitare il tema della fine e del tempo finito e tirare fuori i nostri sentimenti rispetto a esso, per trovare poi una forma di convivenza col male, che sia accettazione, che sia rabbia. Invece che continuare a fare finta di nulla, cosa che aumenta di fatto la paura inconscia, sarebbe molto meglio portare alla luce del sole tutti i nostri sentimenti di panico e paura. Mettendo anche in discussione un materialismo senza davvero più alcuna anima, che proprio per questo non riesce ad affrontare un tema così drammatico come quello climatico perché non riesce a elaborare in alcun modo la fine.

In definitiva, Gabriella De Fina ci mostra che se si vuole agire bisogna rientrare nel nostro corpo e nei nostri limiti. E questo vale sia per chi è paralizzato da un’ansia climatica manifesta, sia per chi ha una paura nascosta e rimossa perché cresciuto col mito della ricchezza materiale e della ricchezza continua.

Dobbiamo ritornare al corpo, per riportare la crisi climatica dentro la nostra sfera di azione, di pensabilità e di emozione. Dobbiamo ritornare al corpo per ricordarci che se vogliamo affrontare la crisi climatica dobbiamo accettare anzitutto la nostra finitezza. Altrimenti, non sapremo in alcun modo da che parte iniziare.

Il Fattoquotidiano.it

Foto di Kevin McIver da Pixabay

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