Intervista a Stefano Mancuso

“Spero di vivere abbastanza a lungo per vedere gli ospedali, le case di cura, le scuole e qualunque luogo dove si apprenda ricoperto di piante. Lo sa che esiste una letteratura scientifica sterminata che dimostra gli enormi benefici delle piante per la concentrazione degli studenti, mentre negli ospedali si consumano meno analgesici e la salute dei degenti migliora?”. Stefano Mancuso, scienziato, professore all’Università di Firenze – dove dirige il Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale (LINV) – autore, tra l’altro, di “Plant Revolution” (Giunti) e “La pianta del mondo” (Laterza), non si capacita del perché un atto così semplice e rivoluzionario come la messa a dimora di quante più piante possibile non sia all’ordine del giorno ovunque. “Tanto più”, aggiunge, “che i costi sono davvero relativi”.

I giornali pullulano di inserti ecologici, sempre più persone coltivano orti sui terrazzi, l’editoria è piena di libri sugli alberi: secondo lei stiamo finalmente realizzando quanto siano fondamentali le piante oppure si tratta soprattutto di una moda?

Sicuramente l’attenzione per le piante sta cambiando, anche per la maggiore consapevolezza del disastro ambientale e climatico che abbiamo creato, e questa è una buona notizia, visto che fino a non tantissimi anni fa le piante erano materie per giardinieri o agricoltori. Che ci sia però una conoscenza davvero diffusa di cosa facciano le piante per noi e del fatto che noi, come animali, siamo letteralmente dipendenti da loro, mi pare di no. E invece le piante sono il vero motore della vita del mondo e quindi comprendere l’importanza che rivestono per tutti noi, e la loro complessità, è fondamentale.

I progetti per piantare alberi sono tantissimi, finanziati sia da aziende, come Treedom, che da istituzioni. Alcuni esperti però mettono in guardia da questa frenesia del piantare alberi, sostenendo che sia più fondamentale conservare ciò che abbiamo.

Certo, in parte è vero, sono convinto che soprattutto le aziende utilizzino la messa a dimore di piante, per compensare le loro emissioni di carbonio, in maniera estremamente disinvolta (il cosiddetto greenwashing). Ma la necessità pressante di piantare quanto più alberi possibili resta e secondo me non è stata ancora ben compresa. È ovvio che bisogna conservare ciò che abbiamo ma le due cose non sono in contrapposizione: insomma, da un lato dobbiamo difendere “con le unghie” le piante che ci sono, dall’altro piantare nuovi alberi. Lo sa quanti alberi avevamo dodicimila anni fa, quando è stata inventata l’agricoltura, e quanti oggi?

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Foto di liggraphy da Pixabay

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