Lo scorso 26 marzo mi sono trovata in una situazione particolare. Era il giorno del terzo sciopero globale per il clima, che seguo fin dal suo inizio quando Greta Thunberg iniziò a scioperare. Ma era anche il giorno della grande manifestazione a favore dell’apertura delle scuole, organizzata in sessanta piazze italiane e unita allo sciopero contro la Dad, la didattica a distanza. Anche in questa piazza, come d’altronde in quelle contro il clima, c’erano cartelli magnifici e fantasiosi (come quello arancione di un adolescente che recitava “L’adolescenza non è il vostro agnello sacrificale”).
Bambini, ragazzi, genitori, insegnanti: tutti a gridare basta contro una didattica asettica e portatrice di infiniti problemi – d’altronde non c’è un esperto che possa mai dire che un bambino di sei anni possa stare davanti a un pc tutte quelle ore –, per non parlare della drammatica situazione delle famiglie e dei genitori, specie lavoratori, alle prese con un compito impossibile: lavorare e accudire per l’intera giornata i propri figli.
Per la scuola tuttavia, a differenza del clima, proprio venerdì sono arrivate notizie importanti. Il governo decideva finalmente di porre fine agli arbitri dei governatori regionali sulle aperture, decidendo per il definitivo rientro in presenza dei bambini almeno fino a undici anni. Lo stesso giorno, il Tar del Lazio invitava il governo a produrre dati a sostegno della decisione di chiudere le scuole, comprese le superiori, decisione ribadita dal Consiglio di Stato l’altro ieri, nonostante il ricorso del governo. Sono risultati insomma molto concreti, che ripagano i genitori degli enormi sforzi fatti in questi mesi: ricorsi, collette per tappezzare di cartelli le città, proteste e mobilitazioni di ogni specie. Visti i risultati, i comitati e le reti che si sono formati andranno avanti, forti di tanta partecipazione attiva e di una legislazione che per fortuna riconosce i diritti degli studenti.
La stessa cosa non si può dire dei movimenti per il clima. Intendiamoci, quelli che Greta e i Fridays for future hanno fatto in questi anni è qualcosa che sa di rivoluzione. Finalmente si parla di cambiamento climatico come una minaccia globale, finalmente le persone hanno capito che la natura e la nostra vita sono a rischio, finalmente anche la politica ha dovuto dare dei segnali, come la creazione di un ministero per la Transizione ecologica. Ma i movimenti ambientalisti e climatici, parlo anche di Extinction Rebellion e di tanti altri, scontano un problema fondamentale, legato alla complessità del problema e al suo essere globale.
Purtroppo, quello del clima non è un problema circoscrivibile qui ed ora. Al tempo stesso “salvare la terra”, “salvare il pianeta”, “salvare il futuro” restano slogan molto astratti, laddove la chiusura delle scuole è qualcosa che si tocca con mano, che fa male nell’immediato, qui ed ora, rendendo la vita impossibile oggi, non domani. I movimenti per il clima si rifanno alla scienza, ma i paper sul cambiamento climatico sono estremamente complessi, difficilmente traducibili in pillole da comunicare alle persone. Anche il movimento sulla scuola si è servito della scienza, ha basato anzi sulla scienza le sue richieste, producendo dati e studi alternativi a quelli proposti dal governo. Ma, ripeto, le rivendicazioni erano estremamente concrete.
Questo vuol dire che i movimenti ambientalisti sono destinati a fallire? Per nulla. Ma da ambientalista convinta, ho imparato alcune cose importanti proprio dalla lotta dei genitori per la scuola. Se è vero che il problema globale che minaccia le nostre vite è il riscaldamento globale, causa praticamente di qualunque problema ambientale attuale, credo sia importante provare a circoscrivere le nostre battaglie, identificando una serie di obiettivi più concreti e direi anche locali. Lo fanno già tanti comitati, per carità, ma spesso in solitudine e separati rispetto ai movimenti climatici.
L’inquinamento delle città, con tutti i dati correlati sulle morti e e patologie che colpiscono i bambini, può essere ad esempio una lotta molto facile da capire. L’abbattimento selvaggio e immotivato degli alberi nella propria città è un altro esempio di lotta facile da intuire. Ma anche la richiesta di una mobilità sicura, che contrasti la scia insopportabile di morti che ad esempio ci sono in città come Roma. E, sempre in riferimento a Roma, la richiesta di una città pulita, che non sia una discarica a cielo aperto, con una raccolta differenziata degna di questo nome. Sono obiettivi piccoli ma neanche così tanto, e per i quali è possibile, come nel caso degli alberi, ricorrere anche, appunto, alla legge, com’è accaduto per la scuola. Ottenendo risultati più rapidamente.
Esistono, in realtà, anche cause climatiche intentate contro Stati deficitari di azioni per mitigare le emissioni. Sono azioni simboliche, ma neanche troppo: importantissime e affascinanti, ma impervie, faticose. Combattere per la riduzione globale delle emissioni, e contro l’inerzia degli Stati, è qualcosa di fondamentale, difficilmente tuttavia riuscirà a coinvolgere le persone. Purtroppo, inoltre, il tema del riscaldamento è talmente tragico e angosciante, con il suo carico di scarsa speranza e disperazione che purtroppo si porta dietro, che le persone tendono a rimuoverlo. Noi ambientalisti spesso ci stupiamo di fronte all’indifferenza della gente quando si parla di scioglimento dei ghiacciai, inondazioni e temperature invivibili. Ma, ormai ho capito, non è indifferenza: è un senso di impotenza che spinge a guardare altrove.
Potrebbe dunque essere utile per noi che ci occupiamo di ambiente e clima guardare anche ad altri tipi di lotte e battaglie, alle quali comunque non siamo estranei (la scuola è fondamentale anche per il clima). Per capire cos’è che riesce a coinvolgere le persone, per circoscrivere in maniera più definita e meno astratta le nostre rivendicazioni per provare a mobilitare le persone non in nome di una generica salvezza del pianeta, ma magari partendo dalla lotta per l’aiuola sotto casa. A mio avviso non sarebbe una sconfitta, ma un modo per far sentire le persone più partecipi e ottenere piccoli risultati che però sono gratificanti per chi li ottiene.
E Greta? Fa male a parlare continuamente di emissioni e additare i grandi della Terra? Per nulla. Greta è una voce letteralmente profetica, e come tutti i profeti ha uno sguardo lunghissimo. È sacrosanto che continui a parlare di riduzione della CO2, di cambiamento climatico e delle sue conseguenze, di ipocrisia e inazioni dei governi. Insomma, il tema del cambiamento climatico deve ovviamente e sempre restare come lo sfondo di una rappresentazione teatrale. È vero che è su quel piano che si gioca tutto. Per le persone “normali” però è importante arrivarci non con ragionamenti astratti, ma lottando per ingiustizie ambientali che rendono la vita brutta e impossibile qui e ora, come può essere, appunto, la rabbia provata per un albero tagliato davanti alla propria finestra.
Non è ambientalismo naif, vecchio stampo, quello che si faceva un tempo quando di cambiamento climatico si sapeva poco o nulla. Credo invece che ripartire dal locale, come d’altronde fanno, ripeto, i mille comitati che si formano a difesa di un parco, o di un bosco, possa essere un modo molto concreto per difendere ciò che è globale. Ma che, in quanto tale, è troppo grande per essere a volte capito e soprattutto “guarito”.
Pubblicato sul Fatto Quotidiano.it 4 aprile 2021
Foto di mijung Park da Pixabay