Intervista a Ivan Novelli

È nata nel 1971 grazie a una missione di un vecchio perschereccio partito da Vancouver per impedire test atomici degli Usa in un’isola vicino alla costa dell’Alaska. E sempre sul tema del nucleare arriva in Italia, nel 1986, con un’azione alla centrale di

facciamo in tre aree di intervento: inquinamento da plastica, campagna contro pesticidi specifici pericolosi per le api e altri impollinatori e la campagna per un Santuario in Antartide, mentre molti vorrebbero un maggiore impegno sul tema clima e sugli allevamenti intensivi, su cui stiamo aumentando l’impegno. Per quanto riguarda il pubblico generale, abbiamo indicazioni sulla “notorietà” dell’associazione che, dal 2010 oscilla attorno al 35% del pubblico, con punte del 42% in anni di particolare visibilità.

Che rapporto avete avuto negli anni, e che rapporto avete oggi, con la politica e le istituzioni?

Svolgiamo sempre un’importante azione di lobby verso la politica così come verso l’industria, due nodi cruciali per far avanzare le politiche ambientali, con risultati importanti come l’approvazione delle legge per la messa al bando delle sostanze chimiche buca-ozono. Greenpeace si è caratterizzata negli anni per l’azione diplomatica nelle conferenze internazionali intergovernative sin da quella su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro del 1992 o quella della Commissione Internazionale sulla caccia alle balene.

Perché non c’è un partito verde in Italia, a suo avviso?

I Verdi in Italia si sono focalizzati su singole campagne, senza neanche una forte determinazione e incisività nel perseguimento degli obiettivi, perdendosi spesso nella politica-politicante. È mancata una capacità di proposta complessiva a partire dalla questione ambientale e dei diritti.

Dal suo punto di vista di ambientalista e comunicatore di lunga data, com’è cambiata l’opinione pubblica sui temi ambientali?

La sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui temi ambientali è andata crescendo grazie all’azione delle associazioni ambientaliste, all’evidenza di alcuni grandi problemi come l’inquinamento nelle città così come quello dei mari. Alle volte la sensibilizzazione dell’opinione pubblica “non fa chiasso” ma è molto chiara e netta nei suoi comportamenti individuali, dalla raccolta dei rifiuti alla diminuzione dell’uso della plastica, alla grande attenzione e diminuzione nel consumo della carne. Ricordo comunque che nel 1992 alla vigilia della prima Conferenza su Ambiente e Sviluppo che si tenne a Rio de Janeiro pubblicammo un importante rapporto sul riscaldamento globale, ma a parte la comunità scientifica era veramente raro incontrare qualcuno consapevole del problema. In questi trent’anni la coscienza è aumentata notevolmente, anche se le scelte politiche e industriali non hanno camminato di pari passo.

Quanto ha contato Greta Thunberg e il movimento dei Fridays for Future nell’imporre all’agenda, almeno in parte, il tema del cambiamento

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/08/18/il-pr…o-diffuso-la-coscienza-ambientalista-ma-la-politica-e-lenta/5900016/ Pagina 3 di 5

Il presidente di Greenpeace Novelli: “La coscienza ambientalista cresce, ma la politica è lenta” – Il Fatto Quotidiano 08/09/20, 11)15

climatico?

Greta ha avuto il grande merito di mobilitare la sua generazione in maniera straordinaria e la crescita del movimento Fridays for Future sta contribuendo a coinvolgere sempre più fasce di opinione pubblica. C’è molta sintonia con loro proprio sulla base della collaborazione fattiva per la campagna sul clima.

E del modo in cui i media spiegano il cambiamento climatico cosa pensa?

La comunicazione ambientale nel nostro paese è sempre stata molto carente. Anni fa alcuni grandi quotidiani nazionali avevano un giornalista dedicato, adesso neanche più quello. Sul tema dei cambiamenti climatici, inoltre, purtroppo, dobbiamo anche registrare l’influenza di grandi gruppi petroliferi e dei combustibili fossili che attraverso le campagne pubblicitarie hanno spesso condizionato anche la pubblicazione delle notizie.

Greenpeace Italia è in una rete internazionale. In quali paesi riesce ad essere più incisiva?

A livello internazionale siamo presenti in circa 60 paesi, storicamente l’organizzazione è più forte nel Nord Europa, a cominciare da Germania, Olanda e Regno Unito ma oggi abbiamo punti di forza anche in Paesi del sud come l’Argentina. La forza di Greenpeace sta proprio in questa rete molto stretta nella determinazione degli obiettivi, nella produzione di materiale scientifico e nella collaborazione nel lavoro quotidiano dei vari uffici nazionali e regionali.

Infine: dopo il fallimento della cop 25 di Madrid, dopo lo spostamento della 26 al 2021, dopo la pandemia, e visti gli effetti già in atto del riscaldamento globale, dove trovare uno spazio di speranza?

Registriamo proprio in questi giorni un’importante decisione presa da Unicredit, uno dei più grandi gruppi bancari europei, che abbandonerà completamente gli investimenti nel carbone entro il 2028. La policy approvata da Unicredit riguarda tutto il settore del carbone (centrali e miniere). Risultati come questo, frutto anche di nostre campagne, ci danno la spinta per continuare a credere che è possibile cambiare. E anche la considerazione che le tecnologie per uscire dalla crisi climatica sono sempre più efficienti ed economicamente vantaggiose. Vent’anni fa eravamo tra i pochi a spingere e crederci, oggi sono diventate una realtà in crescita. Ora bisogna accelerarne lo sviluppo ed eliminare le barriere che, in modo spesso interessato, vengono messe per rallentarle, cosa che è avvenuta in Italia dopo una crescita che è andata a scapito di fonti fossili come il gas. Su questo aumenteremo di certo il nostro impegno.

Pubblicato sul Fatto Quotidiano 18 agosto 2020

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