Per lo shooting la 40 può andare, ma per le sfilate bisogna stare nella 36-38 intesi?”. Basta questa frase per cambiare per sempre la vita della diciottenne francese Victoire Dauxerre, giovane modella scovata per strada e catapultata nel mondo in apparenza patinato delle top model dell’agenzia Elite. Quella vocina comincia a rimbalzarle dentro in continuazione, perché per una ragazza di un metro e 78 scendere a  47 chili è un’impresa possibile mangiando solo tre mele al giorno. Oppure concedendosi pesce e verdure bollite, salvo poi abusare di lassativi per non accumulare calorie, mentre il seno e il ciclo spariscono, e i peli crescono perché il corpo, disperato, cerca di difendersi dal calo di peso. Della sua anoressia forzata  Victoire Dauxerre (che sarà il 17 settembre a Pordenonelegge), parla in un libro in uscita per Chiare Lettere, Sempre più magre.  La denuncia di una giovane top model. Dove ciò che sciocca non è solo il racconto della spinta ad essere “impeccabili, irreprensibili, perfettamente conformi alle aspettative”, con relativo dimagrimento patologico (Dauxerre racconta di aver conosciuto una modella che mangiava un biscotto al giorno), ma la denuncia inedita della vita letteralmente bestiale che fanno le giovani top model, e non solo quelle meno note. “Le attese interminabili, la brutalità di quelli che ti vestono e ti pettinano, l’aggressività delle altre, il jet lag, lo stress”. Il peggio, però, non sono le giornate folli, saltando da un taxi all’altro, da un aereo all’altro, ma l’essere trattate peggio di oggetti: “vacche alla fiera del bestiame”, “giocattoli docili, sottomessi consenzienti di cui si dispone a piacimento”. Dauxerre salva alcuni stilisti, ma nella maggior parte dei casi, e in questi include l’italiana Miuccia Prada e il suo staff, il trattamento è quasi disumano, sia da parte degli stilisti che da parrucchieri e truccatori: “marionette, bambole a cui strappare e rincollare i capelli, imbrattare, spennellare e sfregare la pelle, prodotti che fanno schifo”.  Victoire racconta di essersi sentita letteralmente vuota, trasparente, “una gruccia umana”. E soprattutto assalita da una solitudine devastante, “in mezzo ai cinici, agli imbecilli, i fuori di testa, i depressi”. Ciò che alla fine l’ha spinta a chiudere una carriera promettente, però, è stata la sensazione progressiva di esistere sempre meno, e cioè la concreta possibilità della morte, “morte ornata di luci, trucco, pellicce, seta, merletti, raso, pelle preziose e tacchi diciotto”.  Senza più capelli e calcio nelle ossa, Victoire si salverà, a differenza di una collega deceduta. E oggi il suo racconto è una delle cose migliori che si possano leggere per capire la vita reale delle top model. Perfetto da regalare a figlie convinte che quella sia un’esistenza da favola (per la cronaca, Victoire racconta che dagli scintillanti guadagni di un anno le è poi stato scalato tutto quello in apparenza offerto, “biglietti, telefoni, hotel, vassoi di frutta, stampa dei book. Sul conto mi sono ritrovata diecimila euro”). Pubblicato su Il Fatto quotidiano 18 settembre 2017.

Foto di Kristina Paukshtite

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