Galeotto fu il compost. O meglio, i riccioli e il bel viso di un giovane vegano, caduto per caso con la bicicletta su una trentenne “normale”: piccola imprenditrice, senza particolari nevrosi, onnivora inconsapevole, moderatamente amante dell’happy hour. Da quel giorno, comincia per lei, a causa dell’amore, un percorso forzato verso la progressiva ascesi alimentare, attorno al quale è costruito l’esilarante libro (autobiografico) di Paola La Rosa e Paola Maraone, Straziami ma di tofu saziami (Rizzoli). Il romanzo ricostruisce con ironico acume i passaggi della mente –  generatrice senza sosta di nuove richieste che alzano l’asticella del perfettamente assurdo e insieme del perfettamente razionale – del fondamentalista vegano.  Si parte  con la sostituzione del sale col gomasio, la vendita della macchina, il razionamento dello sciacquone, lo svitamento del tubo del lavandino della cucina riciclarne l’acqua per arrivare all’adozione di un roditore disabile salvato al laboratorio, allo svezzamento vegano del neonato (con tanto di ecologica aspirazione via bocca del muco), infine al risparmio forsennato pur di acquistare, un giorno, un boschetto incontaminato. Straziami ma di tofu saziami mantiene la tensione – mollerà Alice il purista indiavolato? – fino a un finale non scontato. Ed è un esempio di un romanzo che, infischiandosene di aspirazioni a premi letterari, mantiene, invece, il giusto obiettivo: divertire, facendo insieme pensare, chi legge. Magari un po’ esagerato il plotone dei ringraziamenti finali: se ci si mettono pure dottori e ginecologi, zii e cugine, persino pupazzi chi resterà per il prossimo romanzo?

Pubblicato su Il fatto quotidiano del 21 febbraio 2015.

Foto di Josh Sorenson

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