“Subito dopo la separazione, mio figlio Francesco ha cominciato a strizzare gli occhi continuamente. Mi sono allarmata tantissimo, il senso di colpa mi divorava, ma alla fine ho scoperto che era una congiuntivite”. Sara ride, nonostante le preoccupazioni degli ultimi mesi. Ha 42 anni, vive a Treviso, è una libera professionista  – “e credimi, separarsi da lavoratrice autonoma non è lo stesso che con un bel lavoro dipendente”. Ce la mette tutta per essere felice e proteggere suo figlio, che ha appena cominciato le medie. E in questa lotta contro la tristezza di un matrimonio che non è andato come avrebbe voluto, giura che una delle cose che la rassicura di più è che Francesco in classe è in buona compagnia, “su 25 bambini ce ne sono ben sette con genitori separati”. I numeri lo dicono con chiarezza. Nonostante il lieve calo degli ultimi due anni dovuto alla crisi, il confronto con il 1995 è impressionante: allora, tra divorzi e separazioni, finivano 238 matrimoni su mille; nel 2011 erano 493, e oggi un matrimonio su due è destinato a finire. L’ultimo dato Istat, relativo al 2012, parla di 88.288 separazioni e 51.319  divorzi a fronte di 207.138 matrimoni. Se ancora si considera che il 73,3% delle separazioni e il 66,2% dei divorzi ha riguardato coppie con figli (di cui il 54% sotto gli 11 anni),  è facile intuire come i bambini che vivono in una famiglia “atipica” siano un esercito crescente. Ed è proprio la consapevolezza che questa situazione accomuni ormai tanti bambini ad aiutare i genitori afflitti da ansie e paure di ripercussioni: “Tenete conto”, scrive una mamma in un forum per genitori separati, “che i vostri figli frequenteranno una società ad alto di separazione e di famiglie non convenzionali. Forse siamo noi a farci troppe paranoie?”. Mentre i genitori di oggi cercano di venire a patti con le conseguenze pratiche di un ideale infranto, tra gli esperti il giudizio sugli effetti della separazione non è unanime. “Oggi tra gli psicologi c’è un dibattito che vede contrapposte due posizioni”, spiega Marco Schneider, psicoterapeuta della famiglia, oltre che Consulente di parte in procedimenti civili avanti al Tribunale dei Minori di Milano e al Tribunale Ordinario. “Da un lato ci sono gli studiosi della famiglia, specie di impronta cattolica, che sostengono l’importanza dell’interiorizzazione delle figure tradizionali; dall’altro, esistono invece modelli che, pur senza nascondere le criticità,cercano di andare oltre il pregiudizio per cui è sempre meglio la famiglia unita, convinti che la separazione non sia una malattia in sé, ma solo un fattore di rischio e che quello che fa la differenza sia il clima relazionale, oltre che la spinta culturale a donare cittadinanza a forme alternative di famiglie”. Addirittura “alcuni studi mostrano che, se ci sono le condizioni per una buona separazione, i figli dei separati hanno più competenze sociali, perché la necessità costringe il bambino a muoversi su più livelli, è una spinta all’adattamento”. Più cauta è invece Costanza Marzotto, responsabile per la formazione permanente del Centro di Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano e una delle fondatrici della Società italiana di mediazione familiare. “C’è stato un periodo garibaldino in cui la separazione era vista come un evento quasi liberatorio”, spiega, “ma noi riteniamo che la separazione sia un evento che ha bisogno di estrema cura, specie per i figli”. Proprio per loro, Costanza Marzotto ha creato, insieme a altri docenti e mediatori, i “gruppi di parola”, operativi dal 1995 presso il Servizio di Psicologia Clinica per la Coppia e la Famiglia dell’Università: un percorso guidato composto da quattro incontri al termine dei quali i bambini o ragazzi redigono una lettera che poi viene consegnata ai genitori. Alcune di questi testi sono raccolti nel bel volume I gruppi di parola per i figli di genitori separati (Vita&Pensiero), dove si riportano i risultati di una ricerca su 113 bambini dai 6 ai 12 anni. Da qui emergono soprattutto i grandi timori – “Non fate i MOSTRI e non fateci PAURA” – ma anche i sensi di colpa, la rabbia, le fantasie di riconciliazione, la tristezza. Non mancano però anche alcune note positive, che i bambini colgono prontamente: “È bello perché ci sono doppi festeggiamenti per feste e compleanni”, “con la mamma vai da una parte con il papà dall’altra, quindi fai più vacanze”.  “È importante vedere come i ragazzi vengano rassicurati dal gruppo”, spiega ancora Marzotto. “E infatti in copertina abbiamo messo l’immagine fatta da un bambino di 9 anni, che per rappresentare il gruppo a cui aveva partecipato ha disegnato una macchina con il conduttore al posto di guida, i suoi compagni ben istallati nei propri sedili, in viaggio verso una meta luminosa”. Ma esiste una fascia di età dei bambini durante la quale è meglio evitare la separazione? “Gli anni dai tre ai sei sono i più delicati, più tardi c’è una capacità elaborativa tale da permettere di contestualizzare quello che succede”, spiega ancora Marco Schneider.  E quando fare entrare in casa un nuovo fidanzato? “Solo nel momento in cui c’è una relazione stabile:  è perturbante per un bambino fare un lavoro di attaccamento e ristrutturazione cognitiva con una nuova persona e poi vederla sparire”. Infine, meglio che i genitori separati passino momenti insieme? “Su questo gli psicologi si dividono, perché il rischio di una certa confusività nella famiglia allargata è alto. Più che stare insieme a cena è preferibile andare d’accordo”. Andare d’accordo, evitando ad ogni costo di coinvolgere i figli nei propri contrasti, “perché i bambini non hanno strumenti per prendere posizione né comprendere le ragioni per le quali un genitore lo istiga nei confronti dell’altro”: questa sembra essere l’unica regola aurea per rendere sereni i bambini, nonostante la separazione. Eppure, le coppie continuano a litigare, anche quando, come nel 90% dei casi, il regime prevalente è quello dell’affidamento condiviso. “Il problema della conflittualità rimane identico a quello che c’era nel passato”, spiega Giovanni Adami, avvocato matrimonialista veneto. “Litiga pesantemente il trenta per cento delle coppie, ma lo scontro resta anche nelle altre. E purtroppo, va detto, non sempre gli avvocati lavorano in direzione della riduzione della conflittualità”. Si litiga su tutto, ma soprattutto sui soldi, specie oggi che, con la crisi, il rischio di diventare poveri è concretissimo. In altri paesi, molto risorse sono state già messe in campo per questo. Da noi invece, a parte rare iniziative regionali, non esistono politiche familiari a sostegno dei genitori separati né a contrasto della povertà minorile (e non a caso i bambini in povertà assoluta sono passati solo negli ultimi due anni da 723mila a 1 milione e 434mila e una buona parte sono figli di genitori separati). Così, per i figli di chi si separa, esiste un disagio ulteriore, la diminuzione delle risorse per giochi, sport, vacanze. Una sofferenza, almeno questa, evitabile, se chi ci governa capisse che la qualità di una società si misura soprattutto con la felicità dei suoi figli più piccoli.   

Pubblicato su Il Fatto quotidiano, 1 dicembre 2014.

Foto di Matheus Bertelli

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