Mi occupo di crisi climatica e ambiente da alcuni anni. Conosco la situazione di estrema emergenza, le manifestazioni della crisi e il suo aggravarsi. Eppure posso continuare a vivere, in qualche modo, vivendola astrattamente, in maniera teorica. Per un fatto molto semplice di cui ogni tanto mi rendo conto: vivo in una città molto grande. E, in particolare, in una zona centrale, con moltissimi palazzi antichi e chiese. E pochissimi alberi e zero terreno non urbanizzato.
Palazzi, chiese. In città è (quasi) tutto
Premetto: vivere in questa città mi piace. Mi piacciono i suoi palazzi rosa e crema, che spesso con il tramonto diventano bellissimi.
Non potrei fare a meno di stare a fianco di chiese stupende, anzi, ancor di più di basiliche immense e maestose che incutono pace e un senso di calma profonda. Da cui riesco a vedere, certo, la sofferenza degli alberi, che spesso vengono abbattuti in maniera rozza e assurda, e al cui posto vengono messe piantine che spesso si seccano per il caldo estivo. Ma vivendo nel centro di una città gli alberi sono pochi e se diminuiscono la visuale non viene del tutto stravolta. Ci sono poi i sempreverdi, anch’essi in sofferenza, come i pini, ma che comunque rendono il paesaggio più bello e accettabile.
Una bolla che ci impedisce di vedere la matura
Ma la città, per certi, versi è un ecosistema artificiale, anzi non è neanche un ecosistema. È come una gigantesca bolla, in cui viviamo protetti dallo sguardo vero sul clima.
Viviamo tra macchine e palazzi, centri sportivi chiusi, scuole con al massimo cortili vuoti. Quando il clima si arroventa, accendiamo i condizionatori e ci spostiamo in auto ancor più dell’inverno.
Abbiamo acqua ancora illimitata, energia illimitata pure, cibo illimitato, anche se i prezzi crescono. Come potremmo percepire la crisi climatica? In Italia il 70% delle persone vive in città. Ovviamente, non tutti in città metropolitane, però comunque in città.
Del cambiamento climatico si accorgono paradossalmente quelli che hanno un pezzetto di giardino o di balcone, spesso anche una pianta sola racconta come la realtà può cambiare.
Quelle pubblicità che non raccontano la realtà
Ma è solo uscendo dalla città che possiamo realmente toccare con mano cosa sta accadendo. E non serve essere agricoltori, basta andare in campagna e in montagna e osservare.
L’anno scorso in questo periodo ero in Alto Adige e ricordo che rimasi scioccata da quello che vidi. Nulla era simile alle pubblicità che costellano quotidiani e settimanali. La cosa più scioccante erano i paesi, un tempo sarebbero stati imbiancati,sembravano città del centro sud. I boschi erano grigi, aridi, anch’essi senza neve. Neve che stava solo nelle cime più alte e nei grandi comprensori sciistici alimentati da decine e decine di bacini artificiali.
Il paesaggio racconta
Lo stesso in campagna. Ho una casa a mille metri. Non nevica più. Il paesaggio è stravolto, secco, l’estate raggiunge temperature impensabili solo vent’anni fa. Gli agricoltori fanno fatica, gli animali hanno caldo, la semina e il raccolto sono sfasati, l’acqua ancora c’è ma chissà per quanto. Il paesaggio parla, racconta, dice moltissime cose di ciò che stiamo vivendo. Gli alberi, in particolare. Ma come facciamo a viverlo, a sentirlo, sulla nostra pelle, questo cambiamento, se per la quasi totalità del tempo viviamo in città “artificiali”?
Meno vediamo, meno protestiamo
È ovvio che, percependo meno la crisi climatica, ci sono tutta una serie di effetti a catena. ci occupiamo meno del tema. Protestiamo di meno. Facciamo meno fatica a farci scorrere addosso posizioni negazioniste di politici e pseudo intellettuali, anch’essi, ovviamente, totalmente urbanizzati, ancora peggio: chiusi in aule parlamentari in cui arrivano in macchine climatizzate. Oppure in studi televisivi che nulla ovviamente hanno di naturale. Le persone che dovrebbero decidere sulla crisi climatica sono le persone che, di fatto, vivono le vite più artificiali, lontane dalla natura. È un problema.
Condividere la sofferenza di alberi e laghi
Ma allora cosa si può fare, se le previsioni dicono che sempre di più vivremo nelle città? Il fatto è che vedere immagini di orsi polari o case di legno sott’acqua, altri Paesi dunque, emotivamente non ci tocca. O quanto meno, non ci tocca quanto invece ci scuoterebbe andare a vedere davvero come stanno le nostre montagne e campagne, i nostri laghi sempre più asciutti e i fiumi. Quelli del nostro Paese, quelli che fanno parte della nostra identità. La loro sofferenza è manifesta. E non ci sarà vero cambiamento, vera protesta se non riusciamo realmente a percepirla, anzi, di più, a condividerla.
Gite in città d’arte? Meglio immergersi nel paesaggio
In questo senso, sono benvenute tutte quelle realtà che nella natura, invece, in qualche modo passano del tempo. Gite escursionistiche, la realtà dello scoutismo, i gruppi del Cai e altro ancora. Ma si tratta purtroppo di esperienze che restano di nicchia. Bisognerebbe, forse, rendere obbligatoria una permanenza nella natura se non degli adulti, quanto meno di bambini e ragazzi. Dove con natura si intende, più chiaramente e semplicemente, il nostro paesaggio.
Bene le gite nelle città d’arte, certo, ci mancherebbe, ma ancora meglio passare qualche giorno in mezzo alla campagne, oppure nelle nostre montagne. E invece della solita gita a Londra o Dublino l’estate, o del costoso centro estivo in città, sarebbe bello che bambini e ragazzi potessero passare periodi anche lunghi tra campagna e montagna. Senza fare attività di ogni tipo in ogni tipo di lingua. Solo stare nel paesaggio. Che direbbe loro moltissime cose. E li renderebbe più ricchi e insieme più consapevoli.
Pubblicato su La Svolta.it, 12 febbraio 24
Foto di Vilius Kukanauskas da Pixabay