La prossima volta che prendete il vostro album di foto di nascita, provate a guardarlo con altri occhi. Altro che gratitudine verso i vostri genitori. Il giorno in cui siete nati avete subìto da loro, autori di una scelta immorale, il più grande degli oltraggi: una vita fatta certamente di dolore e destinata a finire. A sostenerlo non è uno stravagante personaggio, ma il direttore del Dipartimento di Filosofia di Città del Capo, David Benatar: sia in un’intervista alla rivista “Pangea” sia, soprattutto, nel suo ultimo libro, tradotto in Italia da poco e dal titolo eloquente: Meglio non essere mai nati. Il dolore di venire al mondo (Carbonio editore). Per la verità il ragionamento di Benatar, che sarà a Milano per il Book Pride il 17 marzo, è di una logica stringente. Chi non viene al mondo non può sentire mancanze. Viceversa, chi viene al mondo soffre di gravissimi mali – oltre al terrore della morte, dolori di ogni tipo – che non l’avrebbero colpito se, appunto, non fosse nato. E non vale l’argomento che della vita si può godere, perché, dice il filosofo, nessuno si rattrista perché non possono godersi la vita persone mai nate, tipo gli abitanti di Marte. Per sfatare quello che lui chiama il “pollyannismo”, cioè la tendenza delle persone ad essere erroneamente ottimiste sulle proprie esistenze, Benatar elenca i milioni di persone “uccise, torturate, accoltellate, bruciate, affamate, congelate, morte di fatica, seppellite vive, annegate, bombardate” nel corso della storia, a cui aggiunge lo sterminio dovuto alle malattie – influenza, infezioni, tumori -, più gli incidenti stradali e i suicidi. Fin qui, non c’è granché da eccepire. Il fatto è che le conseguenze del ragionamento sono estreme. Poiché l’unico modo per garantire che una persona futura non soffra sia  assicurarsi che non diventi  mai una persona reale, il primo dovere morale è non mettere mai al mondo figli. Ecco perché i genitori, “persone che vorrebbero accrescere il loro valore prendendo degli ostaggi”, non vanno mai favoriti, anzi. Inoltre, il sesso è accettabile unicamente se non è riproduttivo, tanto che Benatar vedrebbe con favore una sorta di sterilizzazione “dolce” con sostanze contraccettive nell’acqua o mediante diffusione aerea. L’aborto, invece, non solo è moralmente accettabile ma spetta a chi vi rinuncia giustificare la sua scelta. 

Il ragionamento del filosofo finisce con una difesa di una rapida estinzione programmata dell’umanità, anche se, ammette, gli ultimi esseri umani se la vedranno malino, tra morti non seppelliti e anziani abbandonati. Ma allora perché non suicidarsi subito? Qui Benatar mettere le mani avanti: il suicidio non è obbligatorio, perché   “la morte a volte può essere un male per la persona che muore”. Va detto che gli antinatalisti, da Giobbe e Cioran, esistono dalla notte dei tempi. Ma mentre il celebre verso di Leopardi – “Perché reggere in vita/chi poi di quella consolar convenga”- provoca struggimento ed emozioni, dopo aver letto Meglio non essere mai nati ci si sente talmente inariditi che viene piuttosto voglia di mettere al mondo subito un paio di figli per scaldarsi il cuore. Per quanto poi cerchi di distinguere tra dovere legale e dovere morale (di non procreare e abortire), si capisce che il filosofo freme per la coercizione, con buona pace della libertà individuale. In fin dei conti, poi, la prova del nove si può fare chiedendo proprio a loro, i bambini, cosa ne pensino. Io l’ho fatto e un ragazzino di otto anni mi ha risposto così: “Scusa, ma se non fossi vivo, non potrei mai giocare a calcio”. Serve altro?

Il Fatto quotidiano, febbraio 2019

Foto di Simon Migaj

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