Lancio in grande stile per la Nutella vegana prodotta, come quella non vegana, dall’azienda Ferrero. Un design accattivante, con un tappo verde, a richiamare il tema vegetale e la magica scritta “plant based” che fa tanto tendenza ambientale. Tanto che sul sito si evidenzia il fatto che il prodotto sia stato approvato dalla Vegetarian Society, così come si pubblicizza che il tappo verde è in plastica riciclata, il vetro è al 60% riciclato, il cacao utilizzato (circa il 7%) è certificato, mentre l’olio di palma utilizzato è 100% sostenibile.
La Nutella vegana è un’ottima operazione di marketing – proposta non solo per vegani ma per tutti coloro che amerebbero l’ambiente – ma raccontarla come una rivoluzione verde è abbastanza grottesco. In pratica un solo ingrediente, latte in polvere parzialmente scremato, in piccolissima quantità, viene sostituito da ceci e sciroppo di riso, però il prezzo aumenta e di parecchio. Eppure resta un prodotto composto soprattutto da zucchero, così come dall’olio di palma, mentre la quantità di nocciole è la stessa. Resta insomma, comunque, lo direbbe qualsiasi nutrizionista, un prodotto non esattamente salubre, anzi. Un aspetto che ho più volte sottolineato, anche da madre che vive la contraddizione di vedere che un’azienda modello nella cura dei suoi dipendenti e in tanti altri aspetti proponga poi a noi genitori prodotti che sappiamo non essere nutrizionalmente corretti per i nostri figli (soprattutto per l’immane presenza di zuccheri).
Per quanto riguarda l’ambiente, che la versione vegan tanto difenderebbe, il problema restano soprattutto le nocciole, non citate rispetto al tema della sostenibilità sul sito della nutella “verde”. Il fatto che la crema di nocciole, Nutella in primis, stia spopolando in tutto il mondo, il fatto che Ferrero – come d’altronde altre multinazionali – continui a creare nuovi prodotti a base di crema di nocciole fa sì che il fabbisogno di nocciole sia crescente in maniera esponenziale.
La rivista Terranuova, tra le più note in ambito ambientale, in un numero che, però risale a qualche tempo fa, criticava “l’invasione delle monocolture intensive della nocciola ad alto imput chimico“. Il problema si verifica, in Italia, soprattutto nella Tuscia, dove, si legge “l’invasività del modello monocolturale ha portato a vere e proprie invasioni con Comuni che hanno piantato 1.600 ettari di noccioleti su un territorio complessivo di 1.800 ettari”, causando “cambiamenti importanti anche a livello del tessuto sociale, favorendo la concentrazione della proprietà e l’industrializzazione del settore”. L’utilizzo di fertilizzanti chimici, il consumo di acqua, il consumo di suolo, lo stravolgimento del paesaggio ha fatto sì che molti sindaci abbiano tentato, finora invano, di fare ordinanze per contenere il problema dei noccioleti intensivi. Che, però, ancora sussiste e che probabilmente si aggraverà con l’aumento della richiesta.
Se si va sul sito della Nutella tradizionale – che ci si chiede perché non dovrebbe avere le stesse caratteristiche ambientali dell’altra, vetro riciclato, tappo riciclato pure etc – la strategia di comunicazione sulla nocciole punta soprattutto a un obiettivo: “Arrivare alla completa tracciabilità dell’ingrediente, un obiettivo sfidante in alcuni paesi in cui le filiere sono grandi e complesse”. Tuttavia, la trasparenza dei fornitori non esclude, ci pare, il fatto che si possano utilizzare noccioleti convenzionali, nonostante tutti i vari impegni in ambito sociale che vengono raccontati a profusione sul sito.
Caso Nutella a parte, ci sarebbe da riflettere su quanto il greenwashing sia diffuso tra le aziende. Perché un prodotto vegano dovrebbe essere un aiuto per chi è intollerante al lattosio (tra l’altro, sempre per restare su Nutella: sul sito dedicato alla vegan si evidenzia che non va bene per chi è allergico alle proteine del latte perché prodotto in uno stabilimento dove si utilizza latte) o chi ha fatto scelte etiche contro la violenza sugli animali. Nulla di più. Circondarlo di retorica ambientalista in realtà, ne fa un prodotto che se dà un lato dà un tocco verde all’azienda, dall’altra sembra rivolgersi a tutti coloro, anche all’estero hanno una vaga sensibilità per l’ambiente (e chi non ce l’ha), senza magari, però, avere una conoscenza reale di come effettivamente si crea il prodotto. Nel caso della crema di nocciole, il problema, grave, dei noccioleti intensivi in Italia e all’estero.
L’altra lezione che dovremmo trarne è che non sempre i prodotti vegani sono sani a livello nutrizionale, né sono sostenibili per l’ambiente. Un messaggio scomodo, ma che va dato per rompere stereotipi diffusi e sbagliati, a volte persino tra gli stessi vegani (in generale comunque più consapevoli delle loro scelte alimentari).
L’unica vera scelta ambientalista, rispetto alla crema di nocciole – sarebbe certamente scegliere una versione biologica ma soprattutto mangiarne meno, così come ridurre il consumo della miriade di prodotti che la contengono. Ma nessuna azienda ovviamente farà di questo un messaggio commerciale. Meglio mettere il tappo verde, esibire certificazioni vegane, riempire il proprio sito di impegni sulla sostenibilità, l’occupazione, i diritti sociali che però non cambiano in maniera radicale la sostanza.
Insomma, fa tanto “trendy” comprare la Nutella verde, ma in concreto la scelta cambia poco o nulla, perché non è cambiamento la sostituzione del modello tradizionale con un prodotto dal marketing seducente, ma che dalla versione originaria si differenzia davvero di pochissimo. Tranne il prezzo.
Ilfattoquotidiano, settembre 2024