C’eravamo detti che forse quei viaggi aerei in tutto il mondo, pensando alle mete esotiche o alle grandi città internazionali come posti dietro casa nostra da raggiungere comodamente con un volo, per starci tre giorni e andarsene lasciando inquinamento e CO2, sarebbe stato meglio archiviarli. Che la crisi ambientale era troppo grave per non cambiare anche i nostri modi di spostarci – modello Greta insomma, o quasi – e che la pandemia ci aveva dato una sorta di lezione su quanto fosse importante, prima di muoversi, stare fermi.

E invece abbiamo ricominciato come prima a viaggiare forsennatamente, con buona pace delle temperature torride e dei mari che si surriscaldano. Il caos negli aeroporti e quegli inquietanti incidenti. La frenesia della ripartenza ha avuto le prime vittime: i viaggiatori stessi, che si sono trovati di fronte al caos negli aeroporti. Di fatto, le compagnie non si aspettavano una tale ripartenza boom e dopo la pandemia avevamo ridotto mezzi e personale. Ricreare in gran fretta le condizioni pre-virus è stato complicato, spesso impossibile.

A questo, per i viaggiatori, si è aggiunta l’amara ma inevitabile sorpresa del rincaro dei biglietti, che la benzina costa di più non solo al distributore. E poi ci sono stati alcuni inquietanti incidenti: il colpo di sonno del comandante Ita Airways sul volo per New York, sanzionato con un esemplare quanto inutile licenziamento, e quello accaduto all’aeroporto di New York, quando un aereo sempre Ita in fase di manovra di decollo ha urtato un jet francese e le cui circostanze sono tutte da chiarire. Va citato anche l’incidente del Frecciarossa del 3 giugno, con una carrozza andata fuori dai binari, per fortuna senza conseguenze.

Il viaggio come bene rifugio

La sensazione è che il settore trasporti sia nel caos, un caos che è interno certamente ma che riflette anche una società che non ha più chiaro dove stia andando, perché il viaggio è futuro e qui il futuro non c’è più, visto che siamo nel pieno della morsa dei tre grandi incubi: pandemia, crisi climatica, guerra. Noi stessi viaggiatori-consumatori ci aggrappiamo al viaggio come una sorta di bene rifugio, qualcosa che ci ricompensa dalle nostre sofferenze, che ci fa dimenticare per un po’ la nostra condizione.

Spostarsi come forma di adattamento alla crisi

Di più, il viaggio è diventato una vera e propria forma di adattamento ai cambiamenti climatici, anche se purtroppo solo per abbienti. Spostarsi in città o regioni o Paesi meno caldi è un modo per adattarsi al clima che cambia. Visto che la mitigazione non sta facendo il suo corso, siamo noi singoli a cercare soluzioni che ci allontanino dal degrado dei beni comuni, in primo luogo l’ambiente.

E questa misura, il viaggio, sarà quella che sempre di più in futuro ci permetterà appunto di muoverci per evitare eventi estremi in arrivo, dunque sarà tanto più indispensabile. Arriverà forse un momento dove, chi se lo può permettere, a giugno prendere un volo intercontinentale per andare a passare l’estate dove è ancora inverno. Ammetto in prima persona di aver appena rifatto tutti i passaporti della mia famiglia (con un costo di circa 500 euro, ndr).

Non ne ho bisogno per un viaggio, ma solo per sapere che potrò partire in caso di sciagure climatiche. Ma viaggiare inquina. Il problema, come ha spiegato il prof. Stefano Bartolini nel suo libero Ecologia della felicità (Aboca editore) è che questa nostra forsennata ricerca di riparo dal degrado – in questo caso rispetto al viaggio – degrada ancora di più i beni comuni stessi, perché viaggiare inquina e produce emissioni che certo non possiamo compensare comprando alberi on line.

Non solo. Proprio il viaggio segnala la distanza tra ricchi o benestanti e poveri e meno benestanti, visto che il viaggio è uno dei beni rifugio più cari (pensiamo a una famiglia che debba spostarsi: le cifre sono folli).

Compagnie e aziende, la corsa al guadagno genera insicurezza

Ma allora che fare? Dovremmo forse rinunciare a viaggiare, quando il, viaggio lenisce tante delle nostre sofferenze? Forse non è questo il punto, quanto la necessità di un più ampio ripensamento collettivo su questo tema.

Vale anche per le compagnie e le aziende dei trasporti, perché siamo in un tempo in cui non basta più la corsa al guadagno, con tutto il suo corredo di personale sottocosto e ricerca di ogni possibile forma di risparmio, che getta un’ombra inquietante anche sulla sicurezza. Sicurezza che, vale la pena ribadire, è un fatto strutturale, non è mai colpa di un singolo: in aziende complesse, lo ha spiegato benissimo il sociologo Maurizio Catino in numerose pubblicazioni – non esiste l’errore umano, vedi comandante licenziato, ma solo l’incapacità di creare una organizzazione tale da far sì che l’errore umano venga neutralizzato.

Le nuove sfide del mondo stravolto

Per le aziende si tratta di affrontare le nuove sfide che un mondo stravolto pone anche ai viaggi: basti pensare ad alcuni studi che legano l’aumento di turbolenze, anche violente, ai cambiamenti climatici. Si tratta, anche, di ripensare se stesse, pensando a campagne di marketing che riflettano e propongano nuovi valori, che non siano solo quelli della conquista selvaggia, eccitata e inconsapevole del mondo al minor costo possibile. Di puntare tutto sulla sicurezza.

Tutto questo andrebbe spiegato poi beni ai viaggiatori, che oggi sono sempre più impauriti da facili rassicurazioni e caroselli che esaltano le virtù delle compagnie e delle aziende ma che nulla ci dicono sul reale livello di sicurezza del nostro viaggio. Perché è fin troppo noto che in Italia di sicurezza si parla sempre dopo che qualcosa è accaduto.

Il mondo non è il luogo delle nostre scorribande

Il lavoro maggiore, però, questa volta dobbiamo farlo noi,verso quella consapevolezza che nella pandemia sembrava prendere piede. In parte una trasformazione è avvenuta, basti pensare al boom del treno, ma non è abbastanza, viste le folle negli aeroporti e visto che si risentono espressioni che non avremmo mai più voluto sentire come “Vorrei festeggiare il compleanno di mio figlio a New York” o “Vorremmo fare il viaggio di nozze a Bali”.

Non è questione di moralismo, ma se continuiamo a trattare il mondo come il luogo delle nostre allegre scorribande, ignari delle conseguenze e anche dell’assurdità di ciò che stiamo facendo e che purtroppo la velocità di un volo aereo ci impedisce di vedere (provate ad arrivare a Bali in nave), nulla cambierà.

È fondamentale modificare il nostro rapporto col viaggio.Usarlo in maniera parsimoniosa e trovando la situazione più ecologica, anzitutto. Lasciandolo come opzione di riserva, sic, quando davvero serve spostarsi perché le condizioni climatica in cui siamo immersi sono invivibili: pensiamo a una mamma con un neonato e 45 gradi in città.

Cambiamo noi stessi per cambiare le scelte delle aziende

Ma l’atteggiamento predatorio, quello che mette fiero le freccette sul mappamondo, dobbiamo archiviarlo. Normalmente nel nostro Paese i consumatori sono vittime. Della pubblicità fasulla, del greenwashing, di una politica che non fa nulla e scarica sulle loro spalle i costi della transizione ecologica che lei non intende fare. Tuttavia nel caso del viaggio la situazione è un po’ diversa.

Abbiamo tutte le informazioni, sappiamo quanto inquina un viaggio, a partire da un volo aereo. Non solo. Mai come nel caso dei viaggi con le nostre azioni, come scrive l’economista Leonardo Becchetti nel libro “La rivoluzione della cittadinanza attiva” (Emi), possiamo noi orientare noi le scelte delle aziende e in maniera veramente importante.

Insomma, in questo caso la palla sta anche a noi. E dobbiamo giocarla bene, in maniera nuova, strategica e consapevole e anche per rispetto di chi non può viaggiare e dunque ha diritto ancor maggiore a un mondo meno inquinato e surriscaldato. Viceversa saremo complici della débacle, come i media e la politica che di cambiamento climatico parlano poco e male e, soprattutto, senza in alcun modo agire.

La Svolta, giugno 2022

Image by RENE RAUSCHENBERGER from Pixabay

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